GIUSEPPE BOSSI attribuito a
ALLEGORIA DELLA GLORIA (O DELL’ITALIA?)
GIUSEPPE BOSSI
Busto Arsizio 1777 – Milano 1815
Penna e inchiostro bruno con lavaggio seppia su carta
19,5 × 15,5 cm / 7.7 × 6.1 pollici, con cornice antica 31 × 25,5 cm / 12.2 × 10 pollici
PROVENIENZA
Collezione privata, Francia
Giuseppe Bossi fu uno dei protagonisti più raffinati del Neoclassicismo lombardo. Nato nel 1777 a Busto Arsizio e morto prematuramente a soli 38 anni, lasciò un corpus di opere sorprendentemente coerente e colto, animato da un profondo patriottismo e da un’autentica venerazione per l’eredità di Leonardo da Vinci.
Formatosi presso l’Accademia di Brera e attivo a Roma tra il 1795 e il 1801, Bossi si perfezionò nello studio dell’anatomia e del disegno dal vero, fino a stringere amicizia con Antonio Canova, che lo ritrasse in un celebre busto. Durante il soggiorno a Lione nel 1802 conobbe Jacques-Louis David, ma scelse una via stilistica più morbida, più italiana e meno rigidamente archeologica.
Segretario dell’Accademia di Brera tra il 1802 e il 1807, Bossi fu protagonista della riorganizzazione accademica voluta dal regime napoleonico, firmando con Barnaba Oriani il nuovo statuto delle accademie di Milano, Venezia e Bologna. Fondò de facto la Pinacoteca di Brera, arricchita grazie alla soppressione dei conventi e alla raccolta di opere d’arte sacra.
Nel 1805, in occasione della visita di Napoleone a Milano, presentò in Brera opere ambiziose come Aurora e la Notte, Edipo e Creonte e Il Parnaso Italiano. Per volere del viceré Eugenio di Beauharnais, realizzò una copia del Cenacolo di Leonardo per la sua traduzione in mosaico (oggi nella Minoritenkirche di Vienna), e un’altra versione a olio conservata a Brera. Bossi fu anche un importante collezionista di disegni, libri, monete e calchi scultorei provenienti da Roma, Parigi e Firenze. A lui appartenne il più celebre disegno di Leonardo – L’Uomo Vitruviano.
Fu autore di opere teoriche fondamentali come Del Cenacolo di Leonardo da Vinci (1810), che colpì profondamente Goethe, Delle opinioni di Leonardo intorno alla simmetria de’ corpi umani (1811), e Del tipo dell’arte della pittura (1816, postumo). Il suo diario (1807–1815) è oggi una fonte imprescindibile per comprendere la vita artistica dell’età napoleonica.
Il disegno qui presentato, di delicata fattura monocroma, raffigura una figura femminile seduta che innalza una corona d’alloro, simbolo per eccellenza della Gloria. Accanto a lei, putti e amorini popolano la scena bucolica, mentre un altro putto le porge una corona dall’alto, seduto tra i rami. La composizione architettonicamente centrata e il lavaggio seppia morbido ed evanescente richiamano pienamente il linguaggio grafico neoclassico lombardo.
L’ipotesi secondo cui si tratterebbe non solo della Gloria ma anche di una Allegoria dell’Italia si fonda sull’evidente ambiguità simbolica del soggetto: in pieno periodo napoleonico, la personificazione della Gloria poteva facilmente sovrapporsi a quella della Nazione nascente, cara a Bossi e ai suoi contemporanei. L’idea di una nuova Italia, eroica e illuminata, univa intellettuali e artisti come Canova, Appiani, Parini, Manzoni e Foscolo. In questo contesto, anche una figura solitaria e silenziosa come questa può rivelarsi carica di significati civili e patriottici.
Il disegno appartiene dunque a quella rara categoria di opere che, dietro l’apparente semplicità decorativa, celano un raffinato gioco di significati e riferimenti colti. Traccia fragile ma preziosa di un artista troppo presto scomparso, e di un’epoca in cui arte e idea nazionale erano profondamente intrecciate.