Bottega di Pieter Bout (Bruxelles, tra il 1640 e il 1645 o il 1658 – Bruxelles, 1719 o 1689)
Festa di villaggio
Olio su tela, cm 59 x 80
Con cornice cm 83 x 101
Questo dipinto, realizzato con ogni probabilità dalla bottega di Pieter Bout, ci offre uno spaccato della vita quotidiana in un villaggio fiammingo. L'artista, con la sua abilità nel catturare l'essenza di una scena di genere, ci trasporta in un mondo lontano, dove la semplicità e la gioia di vivere sono i protagonisti indiscussi. Nelle opere di Bout si possono rilevare elementi ispirati dalla pittura fiamminga che possiamo ritrovare in artisti come Jan Brueghel il Vecchio, detto in Italia anche Bruegel dei Velluti (Bruxelles, 1568 – Anversa, 12 gennaio 1625).
È incerta la data di nascita di Pieter Bout: in base ai pochi fatti noti sembra sia avvenuta tra il 1620 e il 1647, ma più probabilmente tra il 1640 e il 1645, anche se pare sia stato battezzato il 5 dicembre 1658. L'inizio del periodo di attività di Bout si considera il 1664, anno della sua prima opera datata e si ritiene che abbia continuato a lavorare fino al 1719, anno a cui risale l'ultima sua opera datata.
Nel 1671 divenne membro della Corporazione di San Luca di Bruxelles. A partire dal 1675 circa trascorse tre anni a Parigi, dove spesso collaborò con Adriaen Frans Boudewijns, inserendo le figure nei suoi paesaggi. Probabilmente, oltre alla Francia, visitò anche l'Italia. Ritornato nella sua città natale, proseguì la sua attività.
Altri artisti con cui collaborò, sempre inserendo le figure nei loro paesaggi, furono Lucas Achtschellink, Dupont detto Pointié, Ignatius van der Stock e Jacques d'Arthois. Dipinse soprattutto scene di genere, paesaggi, in particolare marine, vedute di città, paesaggi invernali, porti e spiagge, soggetti storici e architetture.
Oltre ai dipinti, eseguì anche incisioni da suoi soggetti, tra cui un gruppo di quattro paesaggi composto da due scene invernali con pattinatori, una con un calesse della posta fermo davanti ad una locanda e una marina. Le case del villaggio, con i loro tetti di paglia e le facciate rustiche, fanno da cornice a una scena brulicante di vita. Al centro di questa scena, si erge un alto albero della cuccagna, simbolo di gioia e celebrazione.
Piccole figure, dipinte con pennellate rapide e leggere, si muovono con vivacità: alcuni ballano al suono di una musica invisibile, altri chiacchierano animatamente, altri ancora osservano la scena con aria divertita. La luce del sole, filtrando attraverso le nuvole, illumina la scena con una dolcezza diffusa, creando un'atmosfera calda e accogliente. Le figure sono rese con precisione singolare, e i dettagli del paesaggio, pur essenziali, contribuiscono a creare un'atmosfera di realismo.
Il soggetto rappresentato è il gioco dell’Albero della Cuccagna di antica tradizione popolare e conosciuto in molti paesi europei, nel quale i partecipanti devono salire in cima ad un albero ricoperto di grasso o altre sostanze scivolose per raccogliere dei premi. L’origine di questo di gioco deriva probabilmente dall’Alberto di Maggio che veniva innalzato nei villaggi in occasione del Calendimaggio (intorno ai primi giorni di maggio) per festeggiare l’arrivo della primavera. In alcuni casi l’albero veniva portato in processione casa per casa come auspicio di buona fortuna. L'antropologo James Frazer ne colloca l'origine nei culti arborei diffusi in tutta Europa, in virtù del potere benefico contenuto nello spirito dell'albero, che si pensava potesse elargire magicamente doni e fortuna. In particolare l'albero della cuccagna deriverebbe, secondo Frazer, da una forma particolare degli alberi di maggio, quando veniva sfrondato, lasciando solo la sommità scoperta alla quale venivano attaccate cibarie varie, che si tentava di prendere con fatica.