Giovanni Stefano Danedi detto Montalto (Treviglio, 1612 – Milano, 1690)
San Giovannino con l’agnello
Olio su tavola, cm 35 x 27,5
Con cornice, cm 51 x 47
L’opera qui presentata costituisce, insieme a quella conservata presso i Musei Civici di Monza, una delle due versioni del San Giovannino con l’agnello realizzate dal pittore bergamasco Giovanni Stefano Danedi detto il Montalto (Treviglio, 1612 – Milano, 1690), fra i più prolifici e significativi interpreti della pittura barocca in Lombardia. I formalismi tipici dell’artista, ricorrenti estesamente all’interno del suo corpus pittorico, quali la carica emotiva conferita dalla calda luminosità ed i forti contrasti chiaroscurali, caratterizzano anche la tela in esame, nella quale il San Giovannino, nudo e seduto a terra su quella che secondo l’iconografia è un lembo di pelle di cammello, viene immortalato intento ad accarezzare l’agnellino accucciato vicino a lui, in un ambiente boschivo molto scuro e scarsamente visibile. La tela è ricca di richiami iconografici riassunti dall’abbraccio del santo verso l’agnello: come narrato nei Vangeli, fu proprio Giovanni Battista adulto ad indicare come “agnello di Dio” Gesù, che si era recato lungo le rive del Giordano per ricevere il battesimo.
L’iconicità del San Giovannino, caratterizzato da un corpicino paffuto e dalla tipica capigliatura con riccioli biondi, è riscontrabile anche negli angioletti musicanti affrescati nella Cappella di San Vittore a Milano, e in quelli presenti nella Pietà o ancora nell’Orazione di Cristo nell’orto degli ulivi, entrambe conservate alla Pinacoteca di Brera. Si considerino inoltre gli angioletti dipinti proprio dall’artista entro le decorazioni del Duomo di Monza, della Certosa di Pavia e in quelli della pala con S. Maria Maddalena de’ Pazzi per la Chiesa di S. Maria del Carmine milanese: pari l’atteggiamento, eguale la giocosa esuberanza.
Il Montalto, fratello minore di Giuseppe, discepolo di Guido Reni, raccolse l’eredità artistica del Morazzone tra gli anni Trenta e Quaranta del XVII secolo, accostandovi le innovazioni di Francesco Cairo. L’Orlandi fu il primo critico a segnalarne la biografia, entro l’Abbecedario pittorico del 1704. La prima opera firmata “Stefano Daneda”, ossia un Compianto di Cristo conservato al Museo di Castelvecchio veronese, consente di individuare una prima fase stilistica nel corpus dell’artista, che negli anni successivi si volse a influenze venete e genovesi. Intorno al 1648, dopo un breve soggiorno a Roma, il suo linguaggio artistico si aggiorna in senso decisamente barocco come documentano gli affreschi eseguiti in quello stesso anno nel presbiterio del Duomo di Monza. Di imprescindibile importanza nella concezione materica delle sue opere furono le suggestioni mediate da Giovanni Battista Carlone e Domenico Piola, Procaccini e Discepoli (a Genova sembra guardare anche il robusto naturalismo e la tonalità calda, bruno-rossiccia), anche se l’artista seppe accogliere successivamente un’impronta più cortonesca, come si vede negli affreschi di tematica profana di Villa Frisani (1656), progettata dal milanese Francesco Maria Richini nel 1654 a Corbetta (celebre è anche lo studiolo al piano terreno, con la raffigurazione delle allegorie delle quattro stagioni ove è presente uno dei rari ritratti del Richini). Proprio in questo ciclo pittorico il Danedi esprime la sua adesione al nuovo linguaggio barocco - che a Milano ha i suoi maggiori punti di riferimento in Pietro Nuvolone e nello Storer. Egli si atterrà sempre più negli anni successivi, come mostrano soprattutto gli affreschi della sesta e della settima cappella di destra nella Certosa di Pavia (1671-1688) e la decorazione della XVII cappella e della cupola del Santuario del Sacro Monte di Varallo. La carriera di Stefano Montalto, dispiegata con la stessa generosità tanto sul versante privato che su quello pubblico, fu coronata dalla nomina a “primo Direttore” della nuova Accademia di San Luca di Milano, che aprì i battenti nel 1688.