Luigi Pampaloni (Firenze, 1791 - 1847)
Fanciulla
Marmo, cm 37 x 33 x 26
L’opera in esame, una graziosa fanciulla in marmo bianco distesa con le mani giunte in segno di contemplazione, è da annoverare nel vasto corpus artistico dello scultore fiorentino Luigi Pampaloni (Firenze, 1791 – 1847), soprannominato l’”Anacreonte della scultura” per via dell’estrema duttilità dimostrata nel saper alternare un registro grave e severo, più appropriato a uno stile monumentale, a quello leggiadro e gentile, confacente a soggetti di minor impegno.
Intorno al 1810, dopo aver completato un periodo di apprendistato a Pisa presso la bottega del fratello Francesco, scultore ed esperto nella lavorazione dell'alabastro, l'artista proseguì la sua formazione all'Accademia di Belle Arti di Carrara, contraddistinta all’epoca da un ambiente vivace sostenuto dal mecenatismo di Elisa Baciocchi: qui frequentò i corsi di scultura tenuti dal celebre Lorenzo Bartolini e le lezioni di disegno del francese Fréderic Jean-Baptiste Desmarais, partecipando ai concorsi di entrambe le discipline nel 1811. L'artista, ancora allievo di Bartolini, iniziò la sua carriera con importanti commissioni decorative a Firenze: lavorò alla villa del Poggio Imperiale (1817 e 1822) e a Palazzo Pitti (1820 circa), realizzando bassorilievi e decorazioni plastiche in stile neoquattrocentesco. Nel 1826 raggiunse la notorietà con un gruppo scultoreo funebre, raffigurante un Fanciullo in preghiera e una Bambina distesa, ricevendo nello stesso anno l'incarico per tre Naiadi destinate alla fontana di piazza Farinata degli Uberti a Empoli. Nel dicembre del 1826 l’Opera di Santa Maria del Fiore gli affidò l’incarico di decorare le due nicchie sulla facciata del nuovo palazzo dei Canonici, posto lungo il fianco meridionale del duomo, con le statue di Arnolfo di Cambio e di Filippo Brunelleschi, già previste ambedue sedute: la critica elogiò lo scultore «per aver saputo cogliere l’indole dei due architetti», adattandola alle differenti epoche in cui vissero. Sempre nell’ambito della scultura celebrativa, gli fu affidata l’esecuzione del Monumento a Pietro Leopoldo in piazza S. Caterina a Pisa, e dal 1836 aveva preso parte alla decorazione del loggiato degli Uffizi, realizzando la statua di Leonardo da Vinci.
Nel periodo della piena maturità si dedicò a temi di ispirazione religiosa e a soggetti moralmente edificanti, legati al clima filantropico proprio della Restaurazione in Toscana. Fu proprio in questo contesto che nel 1838, Pampaloni ricevette dal mecenate e filantropo pistoiese Niccolò Puccini la commissione di una statua che avrebbe dovuto raffigurare una fanciullina in preghiera. Ben presto, però, il progetto si arricchì e fu aggiunta una seconda figura, un bambino orante (per il quale l’artista riutilizzò un modello realizzato già nel 1826), entrambe poi collocate su un picco roccioso alla cui sommità era posta una croce. L’opera prese il nome di Orfani sulla rupe che, come scrisse lo stesso Puccini nel proprio testamento "abbandonati dall'avarizia degli uomini sulla rupe della miseria" ricevevano conforto dalla fede nella Croce, che "somministra ai bisognosi quanto fu loro negato dal mondo", destinando alla sua morte il gruppo scultoreo alla cappella dell'Oratorio dell’ex Conservatorio degli Orfani di Pistoia, dov’è tutt’oggi conservato. Nel luglio 1840 il solo modello della Fanciulla fu esposto alla mostra annuale nelle sale dell'Accademia di Belle Arti, mentre l’intero complesso marmoreo fu completato e consegnato nel 1842, esposto alla prima "Festa delle spighe" tenuta nel parco della villa Puccini, e poi collocato nella sala grande al primo piano. L’artista, di fatto, realizzò più versioni della Fanciulla di varie dimensioni e materiali, tra le quali risultano degne di nota quella conservata presso la Galleria dell’Accademia di Firenze e il modello in terracotta di proprietà del Puccini stesso, oggi collocato nel Palazzo di San Gregorio a Pistoia.
Osservando la scultura qui presentata, emergono le caratteristiche fondamentali del modellato di Pampaloni, elogiato a suo tempo per «la gentilezza, la verità e l’espressione». Capace di coniugare la tradizione neoclassica di ispirazione canoviana, con una sensibilità romantica ed un'attenzione al realismo, le sue opere dimostrano delicata raffinatezza esecutiva ed una profonda indagine psicologica dei soggetti.